Michele Manelli ci presenta Salcheto esempio di azienda sostenibile.
Si parla così tanto di sostenibilità che a volte facciamo fatica a comprendere o riconoscere le azienda virtuose. Prima di introdurvi l’ospite odierno, facciamo una piccola presentazione della sua azienda. Salcheto nasce come fattoria multi-colturale negli anni ’80, da un podere con al centro un vigneto storico del territorio. La vocazione vitivinicola uscirà fuori negli anni ’90, durante il periodo di rinascita del vino italiano. Con l’arrivo di Michele Manelli questo percorso si accelera e dal 1997 l’azienda si specializza in vino, ottenendo subito importanti riconoscimenti, anche internazionali, per i suoi Vino Nobile. Il nome è ispirato al ruscello che la costeggia, un tempo luogo dei “Salco”, o salici in toscano popolare antico, i cui rami servivano a legare le viti ai pali. Dopo i primi anni di esperienza con timidi investimenti, Manelli si convince di dover ampliare la propria azienda ed assieme a nuovi partners finanziari, facenti capo alle famiglie De Feo e Prashker, avvia un piano di ampliamento. Nasce l’idea di realizzare una cantina energicamente autonoma, partendo dall’efficientamento e quindi dal risparmio, per poi ricercare all’interno della fattoria le fonti di produzione rinnovabili: le soluzioni spazieranno dai lucernari solari per illuminare tutti gli spazi di lavoro, giardini verticali, irrigazioni adiabatiche del tetto-piazzale e ventilazioni naturali notturne a climatizzare la cantina d’estate, vinificazioni che sfruttano l’energia prodotta dalla fermentazione stessa per movimentare mosto e vinacce, produzione di energia da tutti gli scarti di potatura e dallo scambio geotermico a bassa entalpia sotto i vigneti, fino ad una produzione di energia elettrica da fotovoltaico. In dieci anni questo ha permesso di risparmiare oltre 1.100.000 kwh di energia contribuendo significativamente ai miglioramenti della carbon footprint aziendale, un altro elemento chiave del progetto aziendale. Già nel 2010 ci si interrogava infatti su come valutare le prestazioni della cantina che si stava costruendo e grazie alla visione di Antonio Ferro, esperto di temi ambientali, fu istituito un gruppo di ricerca con illustri accademici, ricercatori ed esponenti delle certificazioni ambientali, i quali traguardarono una sfida ancora più incisiva: quantificare e certificare in base ai migliori standard internazionali l’impronta di carbonio di una bottiglia di vino, una prima mondiale, in anticipo di un quinquennio sui regolamenti poi emanati in materia. Da questo slancio di grande entusiasmo seguirono altre attività rilevanti sul tema della modellizzazione dell’impatto ambientale, in particolare su acqua e biodiversità, tutte continuamente messe in rete e pubblicizzate, a partire dalla Carta di Montepulciano sulla Carbon Footprint del vino del 2011, ma ispirando anche il Forum della Sostenibilità del vino del 2013-2015 e poi Equalitas, standard leader nella certificazione della sostenibilità della filiera, negli anni successivi. Quella Carbon Footprint fu scelta, dal gruppo di lavoro guidato da Domenico Andreis, il GdL Salcheto Carbon Free, proprio per la sua capacità di rappresentare un impatto rilevante, come quello sul clima ma anche per la sua capacità di rappresentare l’intera filiera in una logica LCA (“dalla culla alla tomba”). L’indice che ne emerse, di 1,83kg a bottiglia di emissioni di CO2 equivalente, fu d’impatto anche perché svelò con chiarezza tre ambiti critici che la filiera avrebbe dovuto affrontare: la gestione agricola, con gasolio per autotrazione e produzione di concimi e farmaci; la cantina e la sua climatizzazione; il packaging ed in particolare il vetro. Dall’integrazione di questi indici nel proprio modello di gestione, l’azienda ha subito avviato un percorso di sviluppo che andasse oltre la già impressionante cantina energeticamente autonoma. Uno dei passaggi più significativi è rappresentato dalla trasformazione del packaging, dal 2013 basato su di una bottiglia ultraleggera e prodotta localmente che ha contribuito agli ottimi risultati di impronta carbonica: tra il 2010 ed il 2020 circa il 40% di risparmi con oltre 2,3 milioni di kg di CO2eq evitata. Ed è ancora sul packaging che l’azienda intende migliorarsi, con l’innovativo Bag in Box lanciato in pieno lockdown e che ambisce addirittura ad essere carbon negative. C’è quindi una lunga serie di attività aziendali che vengono continuamente riorganizzate in coerenza con una visione olistica della sostenibilità d’impresa: dalla realizzazione di stand fieristici senza corrente elettrica (2012) o fatti interamente di scarti raccolti durante l’allestimento stesso (2015) o comunque a zero rifiuti (dal 2016); così come una interessante produzione di accessori realizzati con materiali recuperati dai propri rifiuti, come gli occhiali a partire dalle botti esauste oppure i bicchieri con le bottiglie di scarto. L’intera produzione è poi certificata biologica, tutta la filiera dei propri materiali legnosi è garantita proveniente da fonti sostenibili FSC o PEFC e viene data grande importanza anche alla gestione dell’acqua, con un recupero totale di quelle utilizzate ed un Water Footprint che viene analizzata sin dal 2011. Ma non c’è solo la lotta al cambiamento climatico o la tutela della biodiversità in questo decennio, ci sono anche importanti sviluppi in ambito sociale e del lavoro: dal 2015 l’azienda ha deciso di investire su queste politiche ed i risultati sono presto arrivati: Salcheto è stata la prima cantina italiana nel 2017 ad avviare un piano di welfare aziendale per i propri dipendenti, dopo aver introdotto un modello organizzativo basato su trasparenza dei rapporti, formazione e compartecipazione dei lavoratori, con incentivi e piani di carriera omnicomprensivi anche di contenuti legati allo sviluppo sostenibile. Oggi Salcheto è anche una Società Benefit, dotatasi quindi di regole e responsabilità oggettive verso terzi nel suo impegno alla crescita sostenibile aziendale e delle comunità in cui opera e la quale redige un Bilancio di Sostenibilità certificato. Ed è con grande orgoglio che questo paradigma di impresa, così innovativo dieci anni fa, quando veniva realizzata la nuova cantina, sia oggi un solido modello che continua ad ispirare la filiera, come si evince dai continui richiami di comunicazione e divulgazione ma anche dagli importanti riconoscimenti ricevuti, come il Robert Parker Green Emblem assegnato proprio nel decennale della cantina.
“Guardarsi indietro a rivedere quel che abbiamo fatto…
percepire la stima di chi ci ha guardato da fuori e l’orgoglio di tutti coloro che hanno lavorato con noi… che emozione!”
Ed è per questo che con grande orgoglio vi presento Michele Manelli proprietario di Salcheto.
Mw: Ciao Michele, ti ringrazio per aver accettato il mio invito oggi.
Michele: Ciao Giovanni, un saluto a te e a tutti i tuoi lettori, grazie per avermi invitato.
Mw: Dunque Michele iniziamo questa intervista esclusiva. Raccontaci, qual è la storia e la tradizione della tua azienda vinicola e in quale territorio ci troviamo?
Michele: Siamo nel Nobile di Montepulciano, tra le colline dell’interno della Toscana nel sud-est della provincia di Siena, dove il Sangiovese ci regala grandi rossi.
Mw: Quali sono le qualità distintive dei tuoi vini?
Michele: Ne faccio diversi ed ognuno con una sua idea ma in generale mi piace pensarli caratteriali nell’essere anche capaci di raccontare storie diverse e precisi e generosi nell’espressione aromatica, sempre equilibrati per potersi muovere bene in tavola come in una bevuta conviviale o meditativa.
Mw: Da quali vigneti provengono le tue uve e che tipologia di terroir ritroviamo?
Michele: Le vigne del Nobile si distinguono per una zona dal clima più continentale fra i grandi rossi toscani, trovandosi più a ridosso degli appennini. Questo, combinato con terreni argillosi e limosi, comunque molto evoluti e poco organici, ci porterà a vini dal corpo più esile ma dalla freschezza vibrante, con aromi cosiddetti minerali che allungheranno un’esperienza di frutta rossa e spezie tipica del sangiovese importante.
Mw: Quali varietà di uva coltivi e quali sono le tue preferite?
Michele: Siamo sangiovesisti, concedimi il neologismo, abbiamo quasi solo quello a parte un poco di Canaiolo, Mammolo, Colorino e Merlot. Per non dimenticare una piccola ma affascinante esperienza in bianco da un decennio, con Trebbiano e Vementino. Mi piacciono tutti ma il Sangiovese è senz’altro il vitigno che qui riesce a fare cose davvero sbalorditive e con lui c’è un legame indissolubile.
Mw: Quali fattori ambientali influenzano la qualità dei tuoi vini?
Michele: Oltre all’impronta di clima e suolo che dicevamo, qui siamo anche influenzati sottilmente dal grande lago trasimeno che riesce a creare un filtro per l’irraggiamento solare riducendone l’intensità.
Mw: Dopo la premessa iniziale abbiamo perfettamente compreso la tua filosofia aziendale in merito alle pratiche di coltivazione sostenibile e biologica, ti va di sottolineare altro?
Michele: La nostra azienda è biologica certificata praticamente da sempre, con una forte impostazione biodinamica nell’organizzazione dei vigneti. La sostenibilità è da almeno quindici anni un elemento di pianificazione codificata del nostro lavoro, nel 2009 fummo infatti i primi al mondo a calcolare e certificare in via sperimentale l’impronta di carbonio della nostra organizzazione e di un nostro vino.
Mw: Come bilanci la tradizione e l’innovazione nella produzione del vino?
Michele: Semplicemente fondendoli in una continua ricerca di cresciti e miglioramento: guardi al passato ed alla storia di errori e successi degli altri, per immaginare un’innovazione in grado di stimolare esperienze sempre più intriganti e raggiungere equilibri sociali, ambientali ed economici più performanti. Tuttavia devo ammettere di avere una adorazione ammirativa per la storia ed il racconto del passato, tanto quanto provo un desiderio irrefrenabile di fare la mia, cambiando qualcosa o meno. Mentre non ho nessuna attrazione per il concetto di tradizione, se questa la dobbiamo vedere come una spinta cieca alla conservazione di un recente passato eretto a santuario. Sono per i valori fondamentali, l’amore sopra a tutto.
Mw: Quali sono le sfide più grandi che affronti come produttore di vino?
Michele: Al giorno d’oggi riuscire ad adattare le produzioni agricole ai cambiamenti climatici ed ambientali in generale, dando il mio contributo ad invertirne il degrado. Al contempo farlo in un mercato che cambia molto più frequentemente e velocemente di prima, che sembra non possa fare a meno di vini veri nel senso del gusto e del racconto ma che non sembra essere interessato a prendersi il tempo di capire cosa vuol dire.
Mw: Se scegli, quali sono le botti che usi per l’invecchiamento dei vini? E quali metodi di affinamento usi?
Michele: Quando quasi trent’anni fa mi sono messo a fare vino da queste parti ho trovato botti grandi di Slavonia che ho voluto integrare da innovatore con qualche legno piccolo, dei tonneaux francesi ed anche americani per i vini più giovani. Mi sono fermato a questo modello che mi sembra equilibrato per valorizzare il nostro Sangiovese e nonostante la moda “anti-legno piccolo” persevero su questa strada.
Mw: Quali sono le tue aspettative per il futuro della tua azienda vinicola?
Michele: Penso che se continueremo a raccontare storie credibili e comprensibili, prendendo sul serio la cultura del vino ma raccontandola con estrema umiltà e leggerezza, nel rispetto del pianeta terra e di tutti coloro che ci vivono dentro (della galassia non ne vogliamo sapere, siamo suprematisti del pianeta terra), le cose andranno bene. Altrimenti ci avremo provato.
Mw: Vini premiati o riconosciuti a livello nazionale o internazionale? Cosa ne pensi dei riconoscimenti ufficiali ai vini?
Michele: Penso che siano davvero importanti in un mondo così frammentato come il nostro con centinaia di migliaia di vini che girano sul mercato. Anche se dopo trent’anni di premi e riconoscimenti ancora non ho capito le ragioni delle lusinghe che mi hanno dato e di quelle che mi hanno rifiutato.
Mw: Come gestisci le tendenze e i gusti in cantina con l’evoluzione dei gusti dei consumatori?
Michele: Per tanti anni ho pensato di gestirle non curandomene e offrendo quello che piaceva a me: la personalità sarebbe stato l’oggetto della vendita. Poi ho capito che invece bisognava offrire cose che piacessero a tanti ed al contempo a te. Per questo da anni cerco di fare vini complessi, come li amo io, ma non complicati, come solitamente li gradiscono tutti.
Mw: C’è un vino su tutti al quale sei legato particolarmente?
Michele: Può sembrare strano ma è il mio Nobile annata, quindi non il Salco che è il vino più importante e quello che mi ha forgiato come viticoltore. Il Nobile di annata è quello che mi ha dato la soddisfazione di fare un vino raffinato e per niente banale riesce a parlare a tutti e ad essere anche il frutto di un discreto numero di ettari di vigna che ho creato dal nulla. Ha equilibrio, una bella tessitura al palato, la succosità del sangiovese dal nerbo acido di Montepulciano ma riesce a farsi capire da tutti e ad abbinarsi a qualsiasi situazione, a tavola e non. In più ha anche un prezzo popolare, insomma incasella tanti valori.
Mw: Social e vino, quanto influisce il passaggio sui canali social dei tuoi prodotti?
Michele: Penso conti. Anche se devo ammettere che non ho mai avuto un profilo social di alcun tipo in vita mia e sono intenzionato ad entrare nel guinness dei primati tra qualche decennio per questo.
Mw: Vino Naturale, tendenza? O presa di coscienza verso un mondo più sostenibile?
Michele: E’ un capitolo che mi sta particolarmente a cuore in quanto abbiamo innovato anche su quello, con la famiglia degli Obvius di sola uva (nemmeno solforosa) che facciamo in bianco, rosso, rosato e vendemmia tardiva. Il discorso però è troppo complesso, fatemi solo dire che il vino naturale con la sostenibilità non c’entra nulla, o meglio non ne vedo connessioni logiche. In primis perché il vino naturale non si sa cosa sia mentre la sfida allo sviluppo sostenibile è un concetto ben definito, standardizzabile e misurabile (per questo andatevi a vedere la norma Equalitas, a cui partecipo dalla sua fondazione), attorno al quale non osservo primati nemmeno culturali da parte di un ipotetico movimento naturalista.
Mw: Le tue etichette ed i nomi dei tuoi vini, ti andrebbe di raccontarci il significato dei nomi dei vini e da dove provengono le etichette? E inoltre siete impegnati solo nella produzione di vino o altri prodotti? Se si, quali?
Michele: Il nome più significativo è quello del Salco. In antico toscano sembra legato al Salice, una pianta che abbondava nella vallata in cui ci troviamo ed in particolare lungo il fosso del Salcheto (torrente dei salici, con ogni probabilità), il quale traccia il confine della nostra tenuta. Coi rami del salice, o vinco, si facevano cesti e sedie ma si legavano anche le viti ai pali. Il legame con il nostro territorio e con la storia del vino era perfetto per il nome dell’azienda come per quello del nostro vino più significativo, il Salco di Salcheto. Un vino con nome e cognome.
Mw: Infine cosa ti ha spinto ad accettare di raccontarti tramite il blog di Mister Wine?
Michele: Perché è davvero bello sapere che c’è chi come voi ha voglia di continuare a raccontare la storia del vino e dei suoi attori, con passione ed intelligenza. Avanti tutta!
Grazie Michele per avermi concesso l’onore di raccontare la tua bellissima e sostenibile realtà.
Michele: Grazie a te Giovanni è stato un piacere scambiare due chiacchiere con te. Un saluto a tutti i tuoi lettori, ci vediamo in cantina.
Anche oggi siamo arrivati al termine del nostro racconto, con un’azienda leader nel settore e esempio di sostenibilità. Saluto e ringrazio Michele e saluto tutti voi con la solita raccomandazione; se dovesse trovarvi a visitare Salcheto, non dimenticatevi di dire, che vi manda Mister Wine.
Al prossimo racconto.
Articolo a cura di Mister Wine – Giovanni Scapolatiello – Sommelier Ais